CENNI STORICI

Siamo nei primi anni ’60 e anche l’ Italia, sulla scia della Germania con il Maggiolino e della Francia con le Citroen 2CV e le Renault 4CV,si stà finalmente avviando verso la motorizzazione di massa grazie alla Fiat 600 in primis e, in secondo luogo, con la sorella minore , Nuova 500.
E’ un’ epoca in cui proliferano i carrozzieri, che realizzano versioni speciali partendo dalle auto di serie: vi sono quelli che ridisegnano di sana pianta la vettura, altri (la maggioranza) che si limitano ad impreziosirla con fregi ed orpelli cromati, verniciature bicolore o interni meglio rifiniti, ed infine quelli che non disdegnano né l’ una né l’ altra attività. Il filone delle utilitarie arricchite è in piena espansione e pare un business destinato a durare a lungo: in tanti si cimentano in questa avventura (Canta, Caprera, Scioneri, Mantelli, Moretti, Francis Lombardi ed altri ancora) peraltro con risultati talvolta discutibili.
Addirittura una carrozzeria del calibro di Pininfarina si fa contagiare da questa moda e realizza una versione “fuoriserie” della 600 abbandonando per un momento i “piani nobili” della produzione automobilistica per scendere nel settore delle utilitarie.

Purtroppo l’ epoca d’ oro dei carrozzieri durerà quanto un fuoco di paglia: nel giro di una manciata di anni verranno spazzati via decine di nomi più o meno celebri e saranno in pochi a sopravvivere.
Il modo migliore per garantire continuità e stabilità a questi piccoli costruttori appare quella di darsi una dimensione industriale e non saranno in tanti a riuscirci.
Uno fra questi fù Bertone che già nel 1959 aveva abbandonato la storica fabbrica di Corso Peschiera a Torino per trasferirsi nel nuovo e funzionale stabilimento di Grugliasco.
Quindi i grande passo, quello più difficile,è già fatto; eppure nel 1964 Nuccio Bertone, che non è solo un estroso designer ma è anche un arguto imprenditore, ha un tarlo che lo rode: ha raggiunto l’ obiettivo di avere un’ industria con dimensioni importanti, ma ora che dispone di una fabbrica moderna ed efficiente deve sfruttarla appieno per ottimizzarne i costi. La produzione della Giulietta Sprint, il principale cavallo di battaglia dell’ azienda, si stà avviando verso la fine e la Casa del Biscione,sebbene abbia fatto disegnare allo stesso Bertone la nuova GT Junior, intende produrre quest’ ultima direttamente nei propri impianti, privando così la carrozzeria della sua commessa più importante.
Si rendeva quindi necessario trovare un modello alternativo su cui puntare, che garantisse volumi di produzione consistenti: Nuccio pensò quindi ad una sportiva su una base meccanica diffusa e dai costi abbordabili che, se magari fosse stata esportata verso un mercato ricettivo quale quello americano, avrebbe potuto risolvere definitivamente il problema garantendo, per anni, una solida base di lavoro. Inoltre il clima di ottimismo che ruotava intorno al boom economico che il nostro paese stava vivendo, alimentava le speranze di piazzare sul mercato non solo spartane utilitarie ma anche modelli un pò più sfiziosi.
L’ interlocutore privilegiato fu ovviamente la Fiat che aveva da poco lanciato la sua 850 e ne stava studiando una versione Coupè il cui disegno era stato affidato a Boano, capo del neonato centro stile della casa torinese ed autore, anni prima, niente meno che della splendida Lancia Aurelia B20GT;a differenza delle vetture realizzate dai carrozzieri,ai quali la Fiat forniva gli organi della berlina,il nuovo modello avrebbe avuto una meccanica dedicata con motore potenziato e prestazioni di tutto rispetto: Bertone propose quindi ai vertici Fiat la realizzazione di una vettura scoperta sulla base meccanica della imminente 850 Coupè:l’ idea non dispiacque affatto ma non si può dire che gli uomini del Lingotto fecero di tutto per agevolargli il compito, anzi posero delle condizioni che rendevano veramente ardua l’ impresa: la vettura doveva avere una forte similitudine con la coupè, avrebbe dovuto avere un prezzo solo di poco superiore a quest’ ultima e per finire in bellezza tutto doveva tassativamente essere pronto in tempo utile per presentarla al salone di Ginevra di Marzo 1965.
Se da un lato Bertone si impegnò a rispettare certi vincoli deciso a non perdere il treno, su alcuni argomenti si impuntò ed ingaggiò vere e proprie battaglie con i vertici di Corso Marconi: ad esempio sosteneva che la spider non doveva essere una semplice e fedele copia della coupè con una capote al posto del tetto in lamiera ma che avrebbe dovuto avere una sua identità precisa e peculiare in grado di identificarla come un modello a sé stante.

In realtà Nuccio aveva già in mente come realizzare la sua 850 Spider: sarebbe partito dalla “Testudo”, una show car da lui realizzata nel 1962 sulla meccanica della Chevrolet Corvair caratterizzata da una linea avveniristica dotata di muso spiovente con fari a filo della carrozzeria; già questo era poco compatibile con la necessità di assimilare la vettura a quella da cui derivava; in particolare questa soluzione imponeva di posizionare la ruota di scorta in modo orizzontale, mentre la casa madre sosteneva che la stessa dovesse essere posta verticalmente per motivi di sicurezza. In realtà l’ obiettivo Fiat era quello di non stravolgere l’ estetica della spider per mantenere i costi allineati a quelli della coupè e sfruttare il maggior numero possibile di componenti comuni ma su questo punto Bertone garantì che avrebbe rispettato comunque i limiti di budget.

A Grugliasco Nuccio attivò i suoi collaboratori, fra i quali Giorgio Giugiaro che dal Dicembre del ’59 era il giovanissimo capo del centro stile Bertone e vero padre della linea della 850 Spider: si arrivò ben presto alla realizzazione dei prototipi che ricevettero l’ ok da parte della dirigenza Fiat; quindi le linee di montaggio furono allestite a tempo di record con sforzi notevoli che consentirono però di arrivare alla manifestazione ginevrina con la produzione già avviata ed un prezzo al pubblico di Lit. 1.050.000, quindi sostanzialmente allineato a quello della coupè, offerta a quarantamila Lire in meno.

La linea piacevole e filante era indubbiamente d’ effetto e soprattutto molto moderna per quei tempi: lo dimostra il fatto che ancora oggi chi non conosce la vettura tenda ad associarla più agli anni “70 che alla metà del decennio precedente.
I numeri per un’ affermazione sul mercato c’erano tutti; a Grugliasco tutto era pronto per fare partire le linee di montaggio al massimo regime ma dai vertici Fiat arrivò la doccia fredda: trattandosi di una vettura di nicchia, la costruzione doveva avvenire al ricevimento dell’ ordine e non in grande serie, vanificando così tutti gli sforzi finalizzati ad una produzione continua e numerosa; dopo avere fatto i salti mortali Bertone non ci stà e studia la contromossa: chiede ed ottiene da Fiat il permesso di commercializzare con il proprio marchio alcune spider; nacque così la “CL”, acronimo di “convertibile lusso”. Con piccoli ritocchi e grazie ad una selezionata rete di concessionari venne messa sul mercato questa azzeccata versione che si distingueva dalla normale 850 Spider per alcuni piccoli particolari all’esterno ma soprattutto all’interno per le finlture notevolmente accurate; con questa realizzazione Bertone sperava di ottimizzare la produzione grazie al funzionamento a pieno regime della catena di montaggio, ma ancora una volta la situazione, benché migliorata, non era affatto ottimale; il grande Nuccio sperava di potere convincere Fiat ad esportare la vettura negli Stati Uniti, cosa che avrebbe definitivamente risolto i suoi problemi grazie all’immensa ricettività di un mercato così ampio, ma le modifiche richieste dalle normative americane, già allora attente al problema delle emissioni nonché a quello della sicurezza, fecero storcere il naso ai vertici Fiat i quali, fra l’altro, non erano certo entusiasti di dover organizzare tutta la serie di servizi necessari (vedi ad esempio la distribuzione dei ricambi) per un mercato così complesso ed esteso quale quello degli States.

In aiuto di Bertone venne Franklin Delano Roosevelt Jr, figlio dell’ex presidente statunitense e titolare della Roosevelt Motors, azienda con una consolidata esperienza nell’importazione e nella distribuzione in America di veicoli stranieri, che si offrì quale testa di ponte al di là dell’Oceano: siamo ormai all’inizio del 1968 e la 850 sta per spiccare il suo volo verso la Grande America, vengono allestiti i primi esemplari con le modifiche sia meccaniche (cilindrata ridotta a 817 cc. per aggirare le norme antinquinamento che prendevano di mira tutti i motori con cilindrata superiore a 819 cc) che di allestimento per il mercato americano (ricordiamo fra le altre cose luci di ingombro laterali, sedili con appoggiatesta, cinture di sicurezza, spia anomalia freni e lampeggiatori di emergenza) ma una nuova legge che impone a tutte le auto di nuova immatricolazione i fari anteriori con parabola “sealed beam”costringerebbe a stravolgere l’elegante frontale della spiderina: si decide quind di lanciare la seconda serie, la cui denominazione commerciale sarà “Fiat 850 Sport Spider in ossequio al filone inaugurato con la sorella maggiore 124 realizzata da Pinin-farina; i lamierati non vengono modificati per cui tutti gli aggiornamenti vengono apportati alle parti non strutturali: cambia il frontale dove i fari inclinati lasciano il posto a due proiettori verticali inseriti in una svasatura.
Con il restyling si coglie l’occasione per rendere ancora più briosa la piccola torinese: infatti la “Sport Spider”, insieme alla sorella “Sport Coupé” anch’essa oggetto dì un riuscito maquillage, è la prima auto a ricevere in dotazione uno dei migliori motori della storia della Fiat: il mitico 903 cc che è sopravvissuto fino agli anni 90: lo abbiamo visto nel cofano della 127, erede della 850 e simbolo di un nuovo modo di concepire le utilitarie; lo ritroviamo nella rustica Panda 45 ma anche nella più moderna e raffinata Uno, ed in altri modelli quali il pulmino 900T, TA112 Junior, le Seat Ibiza e Marbella per un totale di milioni e milioni di unità.

Ora finalmente le cose vanno a gonfie vele per tutti: per Bertone che riesce a far lavorare senza sosta le proprie linee di montaggio e che nel frattempo ha iniziato a costruire anche la Dino Coupé, per Roosevelt che piazzerà in America oltre 92.000 esemplari su quasi 133.000 costruiti, ed anche per la Fiat che, oltre ad offrire un modello azzeccato sul mercato Europeo, sulla scia del successo riscosso negli USA dalla 850 (ribattezzata affettuosamente “little Ferrari” a testimonianza della considerazione con cui fu accolta) esporterà oltre Oceano altri modelli quali la 124 Spider e, successivamente, la Xl/9 concepita ed assemblata sempre da Bertone.
Bertone, tanto per mettere la ciliegina sulla torta, memore del successo della “CL” di pochi anni prima, prova a ripetere l’operazione lanciando la Racer, una versione speciale in tre diversi allestimenti: Convertibile, Berlinetta e Team.
La convertibile altro non è che una Sport Spider caratterizzata da finlture di maggiore pregio e interni dalla connotazione più sportiva. Sulla mascherina in coda una scritta “Racer” rimpiazzava il logo Fiat a rombi. Mobiletto centrale, volante speciale e colori esclusivi completano il corredo di questo raro modello.

La berlinetta era una elegante coupé 2+2 con tetto rigido dalla linea molto personale enfatizzata dai vetrini posteriori apribili a compasso. Particolarità di questa versione era la possibilità di scegliere l’abbinamento fra il colore della carrozzeria e quello del padiglione in vinile disponibile in tre tinte. Fu particolarmente apprezzata sul mercato americano mentre in Europa trovò pochi estimatori).
La Team era una versione sportiveggian-te dotata di tetto rigido dello stesso colore della vettura, caratterizzata da una banda longitudinale colorata in contrasto che percorreva centralmente tutta la vettura dal muso alla coda.
La Racer Team, dato l’utilizzo corsaiolo a cui spesso era destinata e che ne ha decretato la sparizione, è sicuramente oggi la versione prodotta in serie più rara, mentre gli esemplari in assoluto più costosi (ed introvabili) sono quelli marchiati Abarth, realizzati in pochissime unità. Bertone , nel 1969, per promuovere la versione Racer Team iscrisse personalmente una vettura al Rally di Monte Carlo di quell’ anno. (si veda nella sezione testimonianze il racconto dell’ allora navigatore Enrico Re che partecipò al Rally di Montecarlo ed alla Targa Florio sempre nel 1969).

Il termine della produzione per la 850 Spider era previsto nel corso del 1972 in concomitanza con la presentazione dalla già citata Xl/9 ma fu posticipato fino a maggio 1973 per soddisfare gli ordini che continuavano a pervenire soprattutto dall’America. Dal 1972 gli allestimenti degli esemplari destinati al mercato europeo erano stati parzialmente unificati con quelli riservati al modello americano e sfoggiavano quindi paraurti con barra di rinforzo, colori differenti e cruscotto in alluminio spazzolato.

Complessivamente sono stati prodotti 132.635 esemplari così suddivisi: 15 prototipi, 25 veicoli di preserie, e 130.863 unità di serie: 37.625 Spider e Sport Spider destinate al mercato Europeo, 87.360 Sport Spider per gli USA, 1474 CL (933 per l’Italia e 541 per l’Europa), 763 fra Racer e Racer Team (529 per l’Italia e 234 per l’export), 751 Berlinetta per l’Europa (di cui 269 per l’Italia) e 2890 per gli USA a cui bisogna aggiungere 1732 Sport Spider prodotte per conto della Seat che le commercializzò sul mercato spagnolo; le vetture appartenenti alla prima serie sono più o meno 24.500 (CL incluse) mentre le rimanenti 108.000 circa comprendono le varie versioni della seconda serie (quella con fari anteriori verticali). In totale gli esemplari immatricolati in Italia furono 10.921 di cui 6896 prima serie e 4025 seconda serie.